Das Böse Büro

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Navigo tra le paludi di internet e le pagine dei giornali (il mio feed RSS è così ecumenico da includere persino quelle voci politiche che fanno sembrare il rumore statico un’opera di Mozart) e noto che, a destra, l’ossessione per i transessuali gode di ottima salute. La Rowling, poi, è ormai un meme involontario: ogni giorno spunta un nuovo opinionista che, con la gravità di un filosofo greco, annuncia al mondo la sua posizione definitiva sull’argomento. Ma prima di farci travolgere dal solito circo mediatico, forse varrebbe la pena capire di cosa stiamo parlando.

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Come tutti quelli che hanno studiato matematica, mi ritrovo sempre qualche appassionato di lotto o Superenalotto che mi chiede lumi sui numeri “ritardatari”. Il malinteso sui ritardatari è molto difficile da sfatare, perché si basa su affermazioni quasi-vere, che sono gli equivoci più difficili da correggere.

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C'è qualcosa di poeticamente giusto nel panico che sta travolgendo i colletti bianchi ora che l'AI ha deciso di giocare a casa loro. Per secoli, hanno guardato con sufficienza chi lavorava con le mani: “Se una macchina può fare il tuo lavoro, allora non vali nulla”. Ma oggi, mentre ChatGPT genera report e MidJourney sforna grafiche, eccoli lì – a balbettare che “il loro lavoro è diverso”, che “l'AI non capisce il contesto”, che “loro sì, sono veri creativi”.

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Lo dico io. Ho deciso di sobbarcarmi l’onere della rivelazione, prima che qualche segugio dell’identità nazionale — magari un generale in congedo con velleità etnologiche — arrivi a sussurrarlo sui social tra un elogio alle foibe e una lamentela sui presepi oppressi. Sì, cari compatrioti: Sara Curtis è negra.

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Dopo il podcast ove ho parlato dello strapotere americano quando si parla di circuiti di pagamento, ho ricevuto la domanda “ma come si e' arrivati a questo punto”? E la domanda “Ma Revolut potrebbe sostituirle?”.

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